Firenze Marathon, dopo tutti i problemi alla caviglia, una delle più belle maratona che abbia mai corso
Firenze è una città che adoro e ogni occasione è buona per farci una scappata.
Diverso invece è il rapporto, almeno sino a domenica, con la sua maratona: due sole partecipazioni e altrettanti fallimenti. Perchè quando, a poco più di due terzi di gara, decidi che non è giornata e la parola ritiro non fa ancora parte del
tuo vocabolario, i restanti chilometri possono trasformarsi in un piccolo "calvario". Un'onta che prima o poi andava lavata.
Logico quindi approfittare ad inizio anno della tariffa promozionale senza
immaginare che questo 2016 sarebbe stato, da quando corro, l'anno con il maggior numero di problemi fisici e il minore
numero di gare disputate.
Il sabato dedicato a raggiungere il capoluogo toscano, expo per sbrigare la pratica pettorale e conoscere (finalmente) il duo Berti&Borbone (in rigoroso ordine alfabetico) e poi con Gianluca e Massimo per il doveroso carico di carboidrati e proteine (chianina patrimonio dell'umanità) in un tipico locale toscano.
Ci siamo. È di nuovo "una domenica da maratoneta". Qualche centinaio di metri per raggiungere Piazza Santa Maria Novella dove sono posizionati i TIR per la consegna delle borse, cambio d'abito e con calma destinazione Piazza Duomo dove ho appuntamento con Kikko e Lino.
E se con Kikko ho solo intenzione di condividere la mezz'ora che ci separa dalla partenza con Lino invece ho deciso di condivire una buona fetta di gara.
Non ho ambizioni cronometriche. Ho solo voglia di finirla e possibilmente bene.
Vai tu a spiegare a tutti quelli che conosci che a tua non è la solita pretattica tipica di noi runner: "non sto bene", "non è giornata", "mi fa male qui" e poi salta fuori il personale.
I lunghi sono andati bene, la mezza addirittura alla grande, ma qui si tratta della distanza doppia.
In maratona non si può improvvisare niente perchè Lei non regala niente e oggi, senza un apparente motivo, la linea di demarcazione tra "successo" e l'ennesimo "failed" mi sembra più sottile del solito.
Il percorso è fresco di modifica con partenza e arrivo in uno degli scenari piu belli al mondo ma di fatto è semplicemente assemblato in maniera differente. Gli stessi due sottopassi, le "cascine" nel primo terzo, Palazzo Pitti, lo Stadio Franchi, l'unico cavalcavia che al 34imo pare il Pordoi e gli ultimi chilometri nel salotto buono della città.
Otto e trenta e si parte. La posizione in gabbia è buona e riuscire ad impostare il ritmo è solo questione di poche centinaia di metri. L'obiettivo sarebbe un passo da 4e58 ma anche questa volta il pettorale fa miracoli e nonostante l'impegno a non strafare i primi chilometri sono troppo veloci. Io e Lino ne siamo consapevoli ma "trascinati" da chi ci circonda facciamo "fatica" a darci una regolata.
Eppure tocca provarci. O forse no, perchè dopo un paio di chilometri come da ruolino di marcia, siamo punto e a capo: sempre troppo veloci.
A questo punto inutile nascondersi o fingere di volerlo fare. Sino alla mezza a fare da pacer al mio socio come da programma e poi, come da consolidata "abitudine" si va finchè ce n'è. I chilometri passano e delle chiacchere iniziali è rimasto ben poco segno inequivocabile che la compagnia verrà sciolta prima di quanto preventivato. Io ne ho ancora, Lino no e al ristoro del ventesimo lo "perdo".
Forse è un azzardo ma ci voglio provare. Del resto, come dice il proverbio, chi non risica non rosica. Tanto peggio delle due precedenti occasioni non può di certo andare. Un passo dopo l'altro. Ancora una volta un passo dopo l'altro. La gara sta prendendo una piega che va ben oltre le più rosee aspettative e io mi sto divertendo da morire. Nonostante il passo sia piuttosto allegro non sono affatto "impiccato" e anche la zona meno attraente (per intenderci quella dello stadio Artemio Franchi) sembra addirittura meno noiosa di quanto ricordassi.
Un ultimo sforzo per superare il cavalcavia ferroviario e poi gli otto chilomtri che da soli valgono il prezzo del biglietto: Piazza Duomo, Ponte Vecchio, Piazza della Signoria prima dell'arrivo posto davanti al Battistero. Un epilogo da togliere il fiato. E di colpo, una volta superata l'ultima asperità, la netta sensazione, peraltro del tutto immotivata, di avercela già fatta e il Garmin diventato, a questo punto, un accessorio inutile.
Adesso addirittura sorrido (o almeno credo di farlo) e se, per evitare guai, con un occhio presto attenzione al fondo sconnesso con l'altro cerco di godermi il panorama baciato da un fantastico sole. Quaranta, quarantuno e una volta lasciata la piazza dove il David fa bella mostra di se, gli ultimi 600 metri da per-correre senza più remore tra due ali di folla.
Provo anche a cercare il volto di mia moglie ma non la riesco a scorgere. Lei è lì davanti, sulla curva. Mi chiama ma io, nel pieno della trance agonistica, nemmeno me ne accorgo.
Ultima curva, il tappeto blu e a braccia alzate a varcare per la ventottesima volta una finish line con il display TDS ad indicare una manciata di secondi sopra i duecentotre minuti.
E ora chiedetemi se sono felice.
Il sabato dedicato a raggiungere il capoluogo toscano, expo per sbrigare la pratica pettorale e conoscere (finalmente) il duo Berti&Borbone (in rigoroso ordine alfabetico) e poi con Gianluca e Massimo per il doveroso carico di carboidrati e proteine (chianina patrimonio dell'umanità) in un tipico locale toscano.
Ci siamo. È di nuovo "una domenica da maratoneta". Qualche centinaio di metri per raggiungere Piazza Santa Maria Novella dove sono posizionati i TIR per la consegna delle borse, cambio d'abito e con calma destinazione Piazza Duomo dove ho appuntamento con Kikko e Lino.
E se con Kikko ho solo intenzione di condividere la mezz'ora che ci separa dalla partenza con Lino invece ho deciso di condivire una buona fetta di gara.
Non ho ambizioni cronometriche. Ho solo voglia di finirla e possibilmente bene.
Vai tu a spiegare a tutti quelli che conosci che a tua non è la solita pretattica tipica di noi runner: "non sto bene", "non è giornata", "mi fa male qui" e poi salta fuori il personale.
I lunghi sono andati bene, la mezza addirittura alla grande, ma qui si tratta della distanza doppia.
In maratona non si può improvvisare niente perchè Lei non regala niente e oggi, senza un apparente motivo, la linea di demarcazione tra "successo" e l'ennesimo "failed" mi sembra più sottile del solito.
Il percorso è fresco di modifica con partenza e arrivo in uno degli scenari piu belli al mondo ma di fatto è semplicemente assemblato in maniera differente. Gli stessi due sottopassi, le "cascine" nel primo terzo, Palazzo Pitti, lo Stadio Franchi, l'unico cavalcavia che al 34imo pare il Pordoi e gli ultimi chilometri nel salotto buono della città.
Otto e trenta e si parte. La posizione in gabbia è buona e riuscire ad impostare il ritmo è solo questione di poche centinaia di metri. L'obiettivo sarebbe un passo da 4e58 ma anche questa volta il pettorale fa miracoli e nonostante l'impegno a non strafare i primi chilometri sono troppo veloci. Io e Lino ne siamo consapevoli ma "trascinati" da chi ci circonda facciamo "fatica" a darci una regolata.
Eppure tocca provarci. O forse no, perchè dopo un paio di chilometri come da ruolino di marcia, siamo punto e a capo: sempre troppo veloci.
A questo punto inutile nascondersi o fingere di volerlo fare. Sino alla mezza a fare da pacer al mio socio come da programma e poi, come da consolidata "abitudine" si va finchè ce n'è. I chilometri passano e delle chiacchere iniziali è rimasto ben poco segno inequivocabile che la compagnia verrà sciolta prima di quanto preventivato. Io ne ho ancora, Lino no e al ristoro del ventesimo lo "perdo".
Forse è un azzardo ma ci voglio provare. Del resto, come dice il proverbio, chi non risica non rosica. Tanto peggio delle due precedenti occasioni non può di certo andare. Un passo dopo l'altro. Ancora una volta un passo dopo l'altro. La gara sta prendendo una piega che va ben oltre le più rosee aspettative e io mi sto divertendo da morire. Nonostante il passo sia piuttosto allegro non sono affatto "impiccato" e anche la zona meno attraente (per intenderci quella dello stadio Artemio Franchi) sembra addirittura meno noiosa di quanto ricordassi.
Un ultimo sforzo per superare il cavalcavia ferroviario e poi gli otto chilomtri che da soli valgono il prezzo del biglietto: Piazza Duomo, Ponte Vecchio, Piazza della Signoria prima dell'arrivo posto davanti al Battistero. Un epilogo da togliere il fiato. E di colpo, una volta superata l'ultima asperità, la netta sensazione, peraltro del tutto immotivata, di avercela già fatta e il Garmin diventato, a questo punto, un accessorio inutile.
Adesso addirittura sorrido (o almeno credo di farlo) e se, per evitare guai, con un occhio presto attenzione al fondo sconnesso con l'altro cerco di godermi il panorama baciato da un fantastico sole. Quaranta, quarantuno e una volta lasciata la piazza dove il David fa bella mostra di se, gli ultimi 600 metri da per-correre senza più remore tra due ali di folla.
Provo anche a cercare il volto di mia moglie ma non la riesco a scorgere. Lei è lì davanti, sulla curva. Mi chiama ma io, nel pieno della trance agonistica, nemmeno me ne accorgo.
Ultima curva, il tappeto blu e a braccia alzate a varcare per la ventottesima volta una finish line con il display TDS ad indicare una manciata di secondi sopra i duecentotre minuti.
E ora chiedetemi se sono felice.