27° venicemarathon: non è mancato niente
In questi nove anni di onorata "carriera", condizioni climatiche così avverse, non avevo ancora avuto modo
di sperimentarle. A parer mio, Mezza di Monza 2011
e Milanocitymarathon 2012, rientravano già
abbondantemente nella categoria "il peggio che possa capitare". Evidentemente sbagliavo e anche di grosso.
Le previsioni, da giorni, parlavano chiaro: freddo, pioggia, vento e, ciliegina sulla torta, acqua alta a San Marco. Eppure la speranza, o forse sarebbe più corretto dire l'illusione, di un possibile errore faticava a lasciare posto alla realtà. Otto e quaranta, nove, nove e dieci, l'ora dello start sempre più vicina e, come un tarlo, un solo pensiero; il muro nel bel mezzo di "freedom bridge" meglio conosciuto come "Ponte della Libertà" con i suoi tremila e ottocentocinquanta interminabili metri.
Nove e quindici e, in anticipo rispetto al programma, si torna ad essere protagonisti. Talmente in anticipo che, al momento dello start, tra noi e quelli della prima "linea" c'è ancora lo stesso centinaio di metri che ci divideva al momento dell'apertura delle gabbie. Ma ormai il "danno" è fatto e cercare di forzare l'andatura per raggiungere nel minor tempo possibile il gruppo dei pacee potrebbe, alla lunga, rivelarsi controproducente. La solita sosta "idraulica" poi, peggiora le cose e la distanza dal gruppo raddoppia. Archiviata, quindi, la possibilità di correre coperto, tocca rassegnarsi all'ennesima corsa in solitaria.
Ventun minuti al quinto, 43' al decimo e appena sotto i 65' al quindicesimo come da tabella. E se il ritmo è da personale, la testa, sempre intenta a rimuginare sul peggiore degli incubi, no. Lasciato l'abitato di Oriago e reimpostato il "navigatore" su "valori" più consoni (4' e 30") affronto la parte meno "interessante" del percorso equamente divisa tra la campagna e la zona industriale di Porto Marghera.
Le previsioni, da giorni, parlavano chiaro: freddo, pioggia, vento e, ciliegina sulla torta, acqua alta a San Marco. Eppure la speranza, o forse sarebbe più corretto dire l'illusione, di un possibile errore faticava a lasciare posto alla realtà. Otto e quaranta, nove, nove e dieci, l'ora dello start sempre più vicina e, come un tarlo, un solo pensiero; il muro nel bel mezzo di "freedom bridge" meglio conosciuto come "Ponte della Libertà" con i suoi tremila e ottocentocinquanta interminabili metri.
Nove e quindici e, in anticipo rispetto al programma, si torna ad essere protagonisti. Talmente in anticipo che, al momento dello start, tra noi e quelli della prima "linea" c'è ancora lo stesso centinaio di metri che ci divideva al momento dell'apertura delle gabbie. Ma ormai il "danno" è fatto e cercare di forzare l'andatura per raggiungere nel minor tempo possibile il gruppo dei pacee potrebbe, alla lunga, rivelarsi controproducente. La solita sosta "idraulica" poi, peggiora le cose e la distanza dal gruppo raddoppia. Archiviata, quindi, la possibilità di correre coperto, tocca rassegnarsi all'ennesima corsa in solitaria.
Ventun minuti al quinto, 43' al decimo e appena sotto i 65' al quindicesimo come da tabella. E se il ritmo è da personale, la testa, sempre intenta a rimuginare sul peggiore degli incubi, no. Lasciato l'abitato di Oriago e reimpostato il "navigatore" su "valori" più consoni (4' e 30") affronto la parte meno "interessante" del percorso equamente divisa tra la campagna e la zona industriale di Porto Marghera.
Ed è a ridosso del diciannovesimo che la bora ci offre un piccolo assaggio di quello che, una sessantina di minuti dopo, ci regalerà sulla lunga striscia di asfalto che collega Venezia alla terraferma.
Entrati in Marghera, invece, la sensazione di disagio causata dal vento diminuisce e una volta superato il lungo sottopasso della ferrovia sembra di correre un'altra gara.
Suggestivo poi, come sempre, il passaggio nel salotto buono di Mestre. Ventisette, ventotto, ventinove ed ecco Parco San Giuliano dove il vento torna prepotentemente protagonista costringendomi ad adeguare nuovamente il ritmo. Trentaduesimo chiuso in centoquaranta minuti e la netta sensazione di avercene ancora, tanto da ipotizzare, con una discreta dose di sfacciataggine, un ipotetico under 185' miseramente accantonato appena imboccato il Ponte della Libertà. Tremilaeottocentometri di pura follia con la bora proveniente da nord-est talmente forte che in alcuni punti diventa quasi impossibile avanzare. Tocca resistere. Questa volta mollare è un'ipotesi non contemplata. E poi Venezia non è poi così lontana. È li davanti, Sembra quasi poterla toccare.
Trentacinque, trentasei, trentasette e finalmente il cavalcavia di Piazzale Roma ultima "asperità" prima dei quattordici ponti che caratterizzano l'atto finale della Venicemarathon.
Le Zattere, dove dei 120 cm della marea prevista per le dieci non rimane che qualche pozzanghera, Fondamenta dei Gesuiti, Punta della Dogana e una volta attraversato il Canal Grande, gli ultimi mille metri in uno degli scenari più belli al mondo.
Centonovanta minuti che difficilmente potrò mai dimenticare e, una volta indossata la medaglia, la stessa felicità di un bambino davanti all'albero la mattina di Natale.