35° Venicemarathon

Finisher. E sono trentadue

35° Venicemarathon - immagine di Matteo Bertolin

Da dove comincio ? Ovviamente dall'epilogo: finisher. Un termine che, nel mio caso, mancava da tempo, troppo tempo, come, del resto, mancavano i rituali che accompagnano questo genere di "trasferte": il ritiro del pettorale all'expo, la cena a base di carboidrati nel solito ristorante, la meticolosa cura nel preparare la sacca prima di andare a letto perchè hai la sveglia prestissimo.

E se corri la Venice Marathon non è semplicemente un modo di dire perchè, dopo un ultimo check al contenuto della sacca, alle sei sono già fuori dall'albergo direzione Tronchetto dove ci attendono le navette messe a disposizione dall'organizzazione.

Gente in giro poca, ancora meno quelli con addosso abbigliamento sportivo in "processione" verso la medesima destinazione segno che questa edizione, quella della ripartenza, a livello numerico sarà sottotono.

Giusto una quarantina di minuti di bus percorrendo a ritroso quello che da lì a qualche ora sarà il percorso di gara e per l'ottava volta sono davanti a Villa Pisani. Fa freddo e anche se il buio ha ormai lasciato posto alle prime luci dell'alba tocca attendere che il sole si alzi sull'orizzonte prima di capire cosa indossare per la gara. E se l'orario previsto per la partenza garantirebbe una scelta oculata è il limite per la consegna delle sacche che detta i tempi: pantaloncini, canotta e manicotti nonostante una leggera "arietta" che, a detta dell'autista della navetta, sul "ponte" sarà più di un semplice fastidio.

Nove e quaranta si torna protagonisti. Qualche centinaio di metri per far sfilare il gruppo ed è subito passo gara. Il pettorale spesso fa miracoli ma dopo mesi di corse solitarie cercare di non farsi prendere la mano diventa la principale preoccupazione. Navigatore impostato appena sotto i cinque e si va finché ce n'è.

35° Venicemarathon
Non ho grandi ambizioni cronometriche e del resto, soprattutto ora, non devo dimostrare niente a nessuno se non solo a me stesso. La voglio finire, la voglio correre dal primo all'ultimo metro e se possibile chiudere sotto il tempo con cui ho chiuso la mia prima quarantadue. 

La giornata è fantastica, il cielo è terso e un caldo sole non fa rimpiangere la scelta del "corto". Non resta che correre facendosi distrarre dal panorama della Riviera del Brenta e dal tifo del pubblico assiepato ai bordi della strada. 

Cinque, dieci chilometri e tra uno scambio di battute e qualche sorriso da corsa solitaria si passa ad un piacevolissima corsa di gruppo. Ed è una scelta che paga perché tra una chiacchera e l'altra, senza nemmeno rendersene conto, stiamo già attraversando il gonfiabile che indica il giro di boa una manciata di secondi sotto l'ora e quarantacinque. 

Passiamo Marghera ed entriamo in Mestre e qui, dopo il lungo sottopasso della stazione, comincio a perdere il contatto con i compagni d'avventura. Pochi metri per la verità, ma segno inequivocabile che non sono nella condizione di continuare sui quei ritmi. Eppure quanto visualizzato dal garmin nei chilometri che attraversano la città sembra dire il contrario: 4e47, 4e49,4e50, 4e45. O forse sono gli altri che hanno impresso un'accelerazione alla loro gara. Più realisticamente entrambe le cose perché dopo qualche chilometro, sul vialone che conduce al sovrappasso pedonale di Parco San Giuliano, tocca definitivamente abbandonare la folle idea di riuscire a chiudere sotto i duecentodieci minuti. 

35° Venicemarathon - percorso
E allora si cambia registro. Navigatore impostato su ritmi più consoni e senza troppi patemi provo a centrare gli obiettivi (realistici) prefissati alla vigilia. 


Un paio di chilometri tra i viali del parco e dopo aver "scalato" il cavalcavia della ferrovia eccomi, ancora una volta, sul Ponte della Libertà con i suoi tremilaottocentocinquanta interminabili metri. 

Sono stanco e il vento che arriva da nord-est non aiuta. Niente a che vedere con la Bora del 2012 ma, comunque, molto fastidioso.  Ora è un'altra gara. Faccio fatica e la tentazione di mollare tutto non è più quella remota possibilità da escludere a priori. Del resto non sarebbe nemmeno la prima volta.  

Però resisto. Venezia è lì ed è sempre più vicina. Un passo dopo l'altro, un chilometro alla volta.  Oggi il verbo camminare non è contemplato. 

Trentacinque, trentasei trentasette. Un ultimo sforzo. Ancora poco e superata la Capitaneria di Porto alle Fondamenta Zattere iniziano i tre chilometri che da soli, con il giro di Piazza San Marco, valgono il prezzo del biglietto: sei ponti per arrivare alla Punta della Salute, il ponte provvisorio di barche che scavalca Canal Grande e, una volta lasciata la piazza che tutto il mondo ci invidia, gli ultimi sette che portano a Riva dei Sette Martiri.

Me la sto godendo e arrivati a questo punto non potrebbe essere diversamente tanto che anche il mio passo sembra trarne beneficio. Ancora uno, due ponti ed è finita. Ho perso il conto e solo il cartello dei quarantadue ai piedi del quattrordicesimo certifica che davvero ci siamo. Un rapido sguardo al gps, un accenno di volata e il display TDS ad indicare un tempo abbondantemente sotto le tre ore e quaranta. 

Finita, corsa dal primo all'ultimo metro e più veloce della mia prima quarantadue.

What else ?